L’8 agosto 1956 a Marcinelle, 262 minatori persero la vita

Cinquantasei anni fa nella miniera di Marcinelle, in Belgio, morivano 262 minatori (su un totale di 274 uomini presenti nella miniera), di cui 136 italiani tre dei quali trevigiani: Guerrino Casanova classe 1923 di Montebelluna, Giuseppe Polese nato a Cimadolmo nel 1934 e Mario Piccin del 1919 originario di Codognè. A oltre mezzo secolo di distanza da quella tragedia che ha scosso l’Europa intera, ogni anno si riuniscono ex emigranti, minatori e parenti delle vittime, per commemorare quei lavoratori che persero la vita, a causa di un incendio, in un pozzo di carbon fossile del Bois du Cazier (nei pressi di Charleroi) l’8 agosto 1956. “Tutti cadaveri” fu il drammatico bollettino dell’ultima squadra di soccorso che alle 3 del mattino del 22 agosto, risalì dal pozzo profondo 1035 metri, nella vana speranza di trovare qualche superstite. Una tragedia che però rischia di essere dimenticata, quella di Marcinelle, ma non certo per le famiglie delle vittime o per chi ha visto con i propri occhi quanto è accaduto, e rammenta i concitati momenti in cui i soccorsi cercarono inutilmente di salvare i minatori da quella trappola mortale a più di mille metri di profondità. “Ricordo il dolore delle famiglie che davanti ai cancelli attendevano notizie dei parenti e – racconta l’ex minatore, Egidio Gerlin di Crocetta del Montello, che nell’agosto 1956 era a Marcinelle – e sento ancora l’odore acre del fumo che usciva dal pozzo dove era scoppiato l’incendio che uccise soffocati quei poveretti. Centinaio d’italiani si erano riuniti per dare una mano o per cercare parenti e amici: tra le vittime c’era anche il mio vicino di casa e ricordo ancora con dolore, lo strazio della moglie disperata per non avere nemmeno una tomba su cui piangerlo. Quelle di Marcinelle sono state vite tributate all’Italia che aveva siglato un patto scellerato con il governo di Bruxelles: forza lavoro in cambio di carbone e così chi arrivava in Belgio o andava in miniera o veniva rispedito a casa”. Proprio così! L’Italia, certo piegata dalla guerra, usò come merce di scambio la sua gente e lo fece formalmente con il protocollo d’intesa italo-belga del 23 giugno 1946 che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio della fornitura annuale di carbone (tra due e tre milioni di tonnellate), a prezzo di favore. Persuadere i lavoratori a recarsi in Belgio, lasciando la propria terra e allontanandosi delle famiglie, non era semplice così furono affissi in tutto il paese dei manifesti che decantavano vantaggi quali: salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate e pensionamento anticipato. In realtà gli italiani che arrivarono in Belgio, spesso senza nemmeno sapere cosa fosse una miniera, alloggiarono nei campi di concentramento, che fino a pochi anni prima erano stati occupati dai prigionieri di guerra. Uno scenario dantesco in cui persero la vita 867 italiani mentre in migliaia, colpiti della silicosi, condussero un’esistenza breve e di sofferenza, per l’inesorabile malattia contratta in miniera.
(Luglio 2012, editoriale per Endimione)