ANDY WARHOL E LA POP ART

“Nel futuro ognuno sarà famoso per quindici minuti”: è di certo l’aforisma più celebre di Andy Warhol, l’esponente di maggior spicco del movimento artistico della Pop Art statunitense, grazie alla sua poliedrica attività di pittore, scultore, regista, produttore cinematografico e scrittore.
Figlio d’immigrati slovacchi d’etnia rutena, il suo vero nome era Andrew Warhola e nacque a Pittsburgh il 6 agosto 1928, terzo di tre fratelli. Il padre Andrej e la madre Julia Zavacky giunsero negli Stati Uniti all’inizio degli anni Venti, incontrando non poche difficoltà economiche a causa della Grande Depressione.
Rimasto orfano di padre a soli 14 anni, nel 1945 Andrew s’iscrisse al Carnegie Institute of Technology e frequentò un corso d’arte, manifestando una spiccata attitudine verso l’espressività grafica al punto da vincere il Mrs John L. Porter Prize for Progress, un riconoscimento che gli consentì di lavorare come art editor, per alcuni giornali studenteschi.
Nell’estate del 1949, dopo il diploma, partì alla volta di New York, pochi soldi in tasca e tante idee che espresse con originalità nei primi lavori rimediati nella commercial art: le difficoltà erano molte ma anche le opportunità di fare nuove esperienze.
La sua tenacia venne premiata da incarichi come grafico pubblicitario per riviste quali Vogue, Harper’s Bazar, Glamour, lavorando al contempo come vetrinista e scenografo, realizzando inoltre le prime pubblicità per alcuni tra i negozi più importanti della città quali Tiffany, Bergdorf & Goodman e il calzaturificio I. Miller.
Il suo talento non passò inosservato e nel 1952 vinse l’Art Directors Club Medal grazie alla pubblicità per alcuni giornali: è l’inizio dell’ascesa tant’è che nello stesso anno allestì la sua prima personale alla Hugo Gallery, proponendo una quindicina di disegni ispirati agli scritti di Truman Capote.
Gli incarichi professionali aumentarono e con loro anche i riconoscimenti, un susseguirsi di circostanze favorevoli che incoraggiarono Warhol a sperimentare tecniche nuove, affinando anche la blotted line, un procedimento grafico che consentiva la realizzazione di un disegno in più copie, conferendo però a ciascuna la dignità di un’opera originale.
Andy si circondò di assistenti e avviò collaborazioni con altri creativi, dando vita anche ad eventi inediti come i coloring party in cui la creazione di nuove opere era frutto dell’intervento di più mani.
All’inizio degli anni Sessanta Andy Warhol realizzò i primi dipinti dedicati ai fumetti ed alla pubblicità. Il panorama artistico americano, in quel momento era caratterizzato dall’espressionismo astratto e dall’action painting ma il fragile ragazzo di Pittsburgh andò avanti per la sua strada dipingendo ciò che vedeva, quello che conosce e quanto apparteneva al suo mondo: gli emblemi del consumismo americano (denaro e buoni d’acquisto), prodotti di largo consumo (le zuppe Campbell’s), loghi di marche note (Kellog’s, Del Monte, Coca-Cola), miti (James Dean, Elvis Presley, Elizabeth Taylor) ed eroi dei fumetti (Superman, Dick Tracy).
La critica accolse inizialmente con sarcasmo l’innovazione espressiva dell’artista ma di li a breve iniziò a guardare con occhi più attenti le realizzazioni di Warhol, per poi riconoscergli la genialità di aver intrapreso un percorso che sembra voler dissacrare la pittura e l’unicità dell’opera.
L’artista proseguì la sua attività in una sorta di demolizione del concetto di arte intesa come frutto di un’alta ispirazione, dando vita a realizzazioni che erano invece un “prodotto”, da ciò la sua dichiarazione: “Un artista! Che cosa intendi per artista? Anche un artista può affettare un salame! Perché la gente pensa sempre che gli artisti siano qualcosa di speciale? È solo un altro lavoro”.
L’uso di colori che appartenevano al mondo della pubblicità diventa una costante, unito all’impiego di tecniche grafiche non convenzionali ed a temi della quotidianità ai quali conferì una nuova dignità, a tal proposito scrisse nel suo libro: “Quel che c’è di veramente grande in questo paese è che l’America ha dato il via al costume per cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose del più povero. Mentre guardi alla televisione la pubblicità della Coca-Cola, sai che anche il Presidente beve Coca-Cola, Liz Taylor beve Coca-Cola, e anche tu puoi berla. Una Coca è una Coca, e nessuna somma di denaro può procurarti una Coca migliore di quella che beve il barbone all’angolo della strada “.
La banalità dei soggetti e lo stile neutro dei lavori di Andy Warhol lo identificarono come un appartenente di primordine del movimento della Pop Art, insieme a Roy Lichtenstein (le cui opere impressionarono notevolmente Warhol), Tom Wesselmann, Claes Oldenburg, James Rosenquist ed altri.
La Pop Art (pop è l’abbreviazione dell’inglese popular, popolare) si contrapponeva infatti alle altre forme espressive imperniante sull’intellettualismo, proponendosi non tanto come arte del popolo ma bensì come arte popolare e quindi di massa, al pari di un prodotto fabbricato in serie, privo di originalità e accessibile a tutti.
Il 1963 fu un anno importante per Warhol che acquistò una telecamera 16 millimetri e iniziò a girare film, appropriandosi anche di questo strumento espressivo. Trasferì inoltre il suo studio in una caserma di pompieri sulla Ottantasettesima Est, dando vita alla Factory, un laboratorio dove chiunque poteva dare sfogo alla propria creatività, e che ben presto divenne meta di personalità quali Kerouac, Ginsberg, Fonda e Hopper.
Andy Warhol si accosto anche al mondo della musica, promuovendo il gruppo rock dei Velvet Underground (di Lou Reed), per i quali realizzò la copertina del loro primo disco (la celebre banana gialla su sfondo bianco).
La sua produzione artistica continuò con le rappresentazioni delle maggiori personalità del suo secolo da Mao al Che, per poi cimentarsi in ritratti su commissione di personaggi del cinema, della musica rock e del mondo dell’imprenditoria.
Fondò la rivista Interview, che trattava di cinema, moda, arte, cultura e vita mondana.
Scrisse il libro “La filosofia di di Andy Warhol (Dalla A alla B e ritorno)” ed i suoi quadri vennero esposti in tutto il mondo.
Negli anni Ottanta realizzò una serie di opere dedicate alle specie in estinzione, considerate tra le più raffinate di tutta la sua produzione, dal punto di vista tecnico e oramai consapevole della sua grandezza dipinse alcuni autoritratti.
Il 21 febbraio 1987 di ritorno da un viaggio in Europa venne colto da una colica biliare, ricoverato d’urgenza al New York Hospital fu operato ma all’indomani morì, per delle complicanze, venne sepolto a Pittsburgh.
di Ingrid Feltrin Jefwa
pubblicato dalla casa editrice Play Press di Roma