Covid in Veneto, c’è altro da sapere?

EDITORIALE – Partiamo da un presupposto: il Veneto è una regione laboriosa e anche generosa, tant’è che reputo sia una delle più facili da amministrare. Un “esercito” di volontari e gente di buona volontà popola questa terra e spesso consente di fare bella figura anche al mondo della politica (che spesso vive di rendita). Perciò quando è iniziata la pandemia, durante la prima ondata, malgrado le rinunce e le difficoltà, tutti si sono dati un gran da fare. Donazioni, mobilitazione di organizzazioni e associazionismo, insomma, un bel esempio di umanità.

La seconda ondata, che avrebbe dovuto trovarci già preparati rispetto al primo episodio, però non ha avuto l’esito che si poteva auspicare. In Veneto sono accadute cose che nessuno avrebbe mai immaginato e non è un caso che di questi tempi nella nostra regione, a prevalere siano rabbia, sconforto ma anche una profonda delusione.

Lunedì la trasmissione Report di Rai3 ha mandato in onda un’inchiesta sul Covid in Veneto e sulla palese differenza che si è registrata tra la prima e la seconda ondata. Un’analisi interessante, che pur con tutti i limiti dei tempi televisivi, ha sollevato un gran polverone per le ipotesi formulate. Ne sono seguite richieste di dimissioni al presidente Luca Zaia, istanze di chiarimento e non solo.

Oggi si apprende che la Procura di Padova ha aperto un’inchiesta sulle forniture dei test rapidi per il Covid, che punta ad accertare affidabilità e ipotesi di frode in pubbliche forniture. In buona sostanza la Magistratura ha avviato una verifica per capire se: «… i test rapidi per il Covid siano affidabili, ovvero se siano in grado di rispettare le prestazioni diagnostiche promesse delle aziende farmaceutiche – si legge in un’Ansa -. L”apertura del fascicolo, affidato al pm Benedetto Roberti, risalirebbe ad alcune settimane fa. Sarebbero già state sentite alcune persone “Informate sui fatti”».

Interessante anche quest’ultimo dettaglio. Quindi a prescindere dal lavoro dei colleghi di Rai3 la Procura si era già mossa su questo fronte. Già perché dell’incongruenza tra chi diceva che andava tutto bene e ciò che in molti hanno toccato con mano, anche altri si erano occupati in precedenza e non mi riferisco solo agli esperti del settore. Nel dicembre 2020 il giornalista Matteo Mohorovicich firma un servizio del Tgr Rai del Veneto che documenta la grave situazione di un ospedale veronese; la collega de L’Arena di Verona, Alessandra Vaccari, pubblica un servizio sulle drammatiche condizioni di lavoro in una Rsa; quindi, OggiTreviso dà voce alla disperazione dei sanitari dell’ospedale di Montebelluna, dove poi sono arrivati gli ispettori del ministero della Salute.

Li cito (e rammento anche la nostra testata) perché in realtà non sono state molte le informazioni in tal senso. Chi ha raccontato, chi ha testimoniato, lo ha fa con timore e continua a farlo con grande cautela. Lunedì, in televisione, abbiamo visto sanitari e funzionari pubblici ripresi di spalle e con la voce camuffata. Evidentemente in Veneto non c’è solo rabbia, sconforto e delusione ma c’è anche apprensione nel riferire cosa si vede e cosa si pensa. D’altronde, gli stessi giornalisti che hanno dato voce a chi lamentava difficoltà e problemi sono stati minacciati di querela.

Un tempo il “chi sa deve stare zitto, altrimenti…” tradizionalmente alimentava l’immaginario di altre latitudini geografiche italiane. Oggi, a quanto pare, ha preso piede anche vicino a noi. A riprova di un clima non sereno, di recente mi è giunta una segnalazione da parte di alcuni sanitari che hanno chiesto il riserbo. Lo scorso 4 marzo 2021 è stato approvato con deliberazione del Direttore Generale n. 354 in nuovo “Codice di comportamento” dell’Ulss 2, per quanti lavorano nell’azienda (riguarda non solo i dipendenti). Un documento sostanzialmente in linea con analoghi regolamenti di altri enti. Ma alcuni passaggi non persuadono tutti i sanitari.

Chi mi ha interpellata, lamenta l’eccessivo rigore che impone vincoli all’adesione ad associazioni (anche se senza fine di lucro) ma anche nell’uso dei social e in generale nel rapporto con tutto ciò che è “esterno” alle strutture sanitarie. Della questione ho chiesto conto all’Ulss 2 Marca Trevigiana: la risposta è stata che le regole non hanno una valenza di censura, come interpretato da chi si è lamentato con me, e che sono in linea con le indicazioni a livello nazionale.

Ciò detto, ho verificato e il “Codice di comportamento” dell’Ulss 2 è analogo a quello delle altre aziende sanitarie del Veneto, si tratta quindi un indirizzo regionale. Viceversa, se confrontato con quelli di altre parti d’Italia, ad esempio della Toscana, ne emerge un rigore maggiore giacché alcuni passaggi nei documenti veneti sono più restrittivi.

Il Veneto quindi potrebbe aver optato per una linea più dura verso i propri dipendenti che operano nella sanità. Legittimo? Non c’è motivo di pensare il contrario! Altrettanto legittimamente ci si può però rammaricare per un possibile rigore verso chi, proprio durante il Covid, ha dato tanto alla collettività.